Senza Londra: il mancato duello Kipchoge-Bekele
25 Aprile 2020di Giorgio Cimbrico
Domenica, come noto, la Maratona di Londra non si corre. Spostata al 4 ottobre, confidando che il nemico invisibile allenti la sua morsa. Doveva essere una giornata da ricordare: il faccia a faccia tra Eliud Kipchoge e Kenenisa Bekele, i due magnifici veterani divisi da due secondi: 2h01:39 il keniano, 2h01:41 l’etiope, entrambi sul generoso percorso di Berlino.
In un’altra città simbolo della vecchia Europa, Vienna, Eliud ha dimostrato che un uomo può correre 42 chilometri e 195 metri sotto le due ore. Prestazione ufficiosa ma così affascinante da meritargli per la seconda volta consecutiva il titolo di Atleta dell’Anno. In giorni di deserto sportivo, non resta che proiettarsi a un anno fa, su quelle strade che per ora rimangono deserte.
Eliud Kipchoge è l’uomo che volle farsi re: King Kip vince per la quarta volta in cinque anni la maratona di Londra, chiude in 2h02:37, in quel momento il secondo tempo più veloce della storia, a 58 secondi dal suo record del mondo berlinese, diventa il padrone di quattro tra i migliori dieci tempi di sempre, trasforma gli etiopi Mosinet Geremew, 2h02:55, e Mule Wasihun, 2h03:16, nel secondo e nel settimo di tutti i tempi (sempre prima del Bakele di Berlino) in fondo a una maratona che diventa la più grande per gli esiti dei primi tre.
E queste sono le formidabili cifre scaturite dall’ennesima impresa del 34enne keniano, campione olimpico e quasi imbattuto – un secondo posto, dietro un Kipsang da record del mondo – da quando la sua corsa si è spostata dalla pista alla strada. Il capolavoro vero è venuto dall’andamento della gara, dalla regia che Kipchoge ha imposto, dalla calligrafia del suo passo, dalle scelte tattiche e dalla forza agonistica del campione che punterà a un bis olimpico come Abebe Bikila e Waldemar Cierpinski.
Sin dalla partenza da Greenwich, Kipchoge sollecita l’andatura delle lepri, andando ad assaggiare la testa e raccogliendo passaggi velocissimi sia ai 5 che ai 10 km (29:01!), anche più del settembre 2018 quando a Berlino estirpò 1:18 al record del mondo di Kimetto tagliando il traguardo poco dopo la porta di Brandeburgo in 2h01:39.
Attorniato da un drappello di etiopi, Eliud segue gli scanditori di ritmo che ai 25 km assicurano ancora un passaggio ad appena 14 secondi da quello del record. Mo Farah, mai nelle posizioni di testa, inizia a soffrire, passa ai 30 km con 24 secondi di distacco e inizia a realizzare che un riaggancio è problematico. La settimana dei veleni sull’asse Londra-Addis Abeba, dello scambio di accuse tra Sir Mo e Haile Gebrselassie si avvia per il britannico verso un deludente epilogo. Il faccia a faccia con Kipchoge non si realizza neanche su un metro di corsa.
Il capolavoro viene scritto dopo il 35° km e assume la cadenza di corsa ad eliminazione, di uno scontro tra un Orazio keniano e i Curiazi etiopi. Cede Gebresilase, cede Kitata. Al 38°, sull’ennesima armoniosa accelerazione di Eliud, si arrende Wasihun. A questo punto si tratta di liberarsi dell’ultimo rimasto. Impresa riuscita prima della svolta verso Buckingham Palace, ma Geremew non rompe e arriva 18 secondi dietro Kipchoge, demolendo il personale di un minuto abbondante e strappando temporaneamente il record d’Etiopia a Kenenisa Bekele. Farah è quinto, in 2h05:39, non lontano dal suo record, ma lontanissimo, tre minuti, da Kipchoge che ripropone la domanda che si era fatto alla vigilia: “Cosa potrò fare in futuro?”.
Le donne partono molto piano, in un apparente clima di non aggressione, e finiscono molto forte. A dare un’ondata di spinte è la 25enne Brigid Kosgei che dopo il 25° propone una serie di cambi di ritmo. Resiste la piccola Vivian Cheruiyot, campionessa uscente, mentre Mary Keitany che, come Kipchoge, puntava al poker perde il contatto e annuncia la resa. Kosgei, a segno sei mesi fa a Chicago con il record del mondo, scatena un’andatura vertiginosa che la porterà a correre la seconda parte in uno stordente 1h06:42 per chiudere in 2h18:20 e lasciare Cheruiyot a quasi due minuti.
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