Edwards +25: un quarto di secolo da record
05 Agosto 2020di Giorgio Cimbrico
Molti anni dopo, in un angolo di campagna inglese, Jonathan Edwards intervistava Daniele Molmenti, freschissimo olimpionico di canoa in acque agitate, per usare la traduzione fedele. Al solito, era spigliato, accattivante, dall’inglese raffinato, dallo sguardo curioso. Uomo di campo per la Bbc in occasione di avvenimenti importanti, ma anche capace di digressioni: arte, religione, cultura, società.
D’argento sono anche le nozze che Edwards sta per celebrare con il record del mondo – o è meglio dire con i record del mondo – del 7 agosto 1995, stadio Ullevi di Göteborg. Il primo, 18,16, è stato battuto, il secondo, 18,29, è ancora lì, in vetta. Christian Taylor si avvicinò, 18,21, dopo un ventennio, conquistando il secondo dei suoi quattro titoli mondiali.
Amazing grace, grazia strabiliante, è il titolo di uno degli inni più amati nel mondo religioso anglosassone. Di quella grazia Jonathan, al tempo fervido credente (solo nel ’93 si convinse a scendere per la prima volta in pedana la domenica), era ricco in quell’annata memorabile, segnata, gara dopo gara, da un nitore d’esecuzione che qualcuno si spinse a definire perfetto, forse divino.
Il 25 giugno, Coppa Europa a Villeneuve d’Ascq, l’azione radente, da pietra piatta che rimbalza sull’acqua, lo portò con molto vento, 3.7, a 18,39 e con una brezza di coda non così violenta, 2.4, a 18,43. Nessuno si era mai spinto così lontano.
Unici riferimenti possibili, il 18,20 di Willie Banks con 5.2, il 18,17 di Mike Conley con un infausto 2.1.
La condizione era perfetta e non scemava: 2 luglio, Gateshead, 18,03 illegale (+2.9), 18 luglio, Salamanca (che con i salti ha una magnifica tradizione), record del mondo, 17,98 con +1.8, 23 luglio, Sheffield, 18,08 con +2.5.
Alle 17.30 del 7 agosto, in un pomeriggio di sole caldo e cielo blu profondo, Jonathan espresse negli ultimi due passi prima dell’asse di battuta una velocità superiore a quella di Carl Lewis nella leggendaria finale di Tokyo ’91. Tutto fu molto semplice e lineare, l’atterraggio di un’eleganza che forse lasciò sorpreso anche lui. 18,16 con +1,3. Per la prima volta, con tutti i crismi, era stata varcata la barriera, la frontiera. Un quarto d’ora dopo, Edwards concesse il bis, ritoccando qualche particolare e facendo intendere che quel suo personale sui 100, 10.7, era un’anticaglia (nel ‘96 avrebbe corso in 10.48). Si volse con un gesto elegante per vedere dove erano rimaste le sue impronte, sapendo già di esser andato oltre. Stesso vento e tredici centimetri in più, 18,29. La scomposizione dei salti annunciò 6,12-5,19-6,85 per il 18,16; 6,05-5,22-7,02 per il 18,29.
Qualcuno, al termine di quel memorabile pomeriggio, mormorò: Empire strikes again, l’Impero colpisce ancora. Primo Jonathan Edwards, Gran Bretagna e Irlanda del Nord, secondo Brian Wellman, Bermuda, terzo Jerome Romain, Dominica, isola delle Piccole Antille che gli inglesi strapparono ai francesi dopo la guerra dei Sette Anni.
Jonathan perse i Giochi di Atlanta da Kenny Harrison che trovò il giorno perfetto per approdare nella nuova dimensione. Si rifece a Sydney, conquistò la sua seconda corona mondiale a Edmonton (in inverno, ai Mondiali indoor di Lisbona, si era arreso a Paolo Camossi, autore del meno cruento tra i regicidi) e chiuse con il titolo che mancava alla collezione, quello del Commonwealth.
VIDEO | I RECORD DI JONATHAN EDWARDS A GÖTEBORG 1995
SEGUICI SU: Instagram @atleticaitaliana | Twitter @atleticaitalia | Facebook www.facebook.com/fidal.it
Condividi con | Tweet |
|
Seguici su: |