400 d’Europa: se Warholm dopo gli ostacoli...
24 Agosto 2020di Giorgio Cimbrico
Nei 400 il ritardo dell’Europa sul mondo è ampio come l’era atletica che divide la contemporaneità dai giorni in cui venne fissato quel record continentale, nel 1987. E così Karsten Warholm, il norvegese che galoppa come un cavallo selvaggio, dopo aver sfiorato il primato del mondo dei 400hs a Stoccolma, ha dimostrato neanche due ore dopo (45.05) che presto potrà impedire al record europeo del giro di pista senza barriere - il 44.33 di Thomas Schoenlebe - di compiere altri anniversari.
Il norvegese che aggredisce la gara e se stesso con una scarica di schiaffoni che distribuisce tra guance e cosce, con 44.87, è ancora il 37° europeo di sempre. Davide Re con 44.77 è il 28°. Warholm ha un’altra posizione se si dissemina la pista di dieci ostacoli: con il 46.87 di domenica è sempre più il secondo di ogni epoca. Dare una scossa sui piani significa entrare di forza, e nelle zone molto nobili, nella combinata 400 con e senza barriere, una confraternita di cui fanno parte - ai piani alti - Angelo Taylor (44.05+47.25), Rai Benjamin (44.31+46.98), Abderrahman Samba (44.60+46.98), Kerron Clement (44.48+47.24) e così via.
La caccia al vecchissimo record, in mano a un atleta di un paese che non c’è più, può trasformarsi nell’esplorazione, in chiave continentale, di quello che gli anglosassoni chiamano il “quarto”. È la distanza in cui l’Europa denuncia più distacco (1.30 dal record del mondo, più che nella distanza doppia…) e lo stato delle cose è confermato da una serie di dati: l’avanzata età del record che permise a Schoenlebe di conquistare, primo e unico europeo, il titolo di campione del mondo a Roma ’87; la collocazione dell’atleta della Ddr al 56° posto nelle liste alltime, un elenco che prima offre 30 Usa, 3 Kenya, Botswana e Giamaica, 2 Cuba e Trinidad, 1 Sudafrica, Messico, Costa d’Avorio, Nigeria, Bahamas, Grenada, Arabia Saudita, Qatar, Repubblica Dominicana, Repubblica del Congo, Colombia, Brasile.
L’eurocontributo alla progressione del record del mondo dei 400 è stato modesto. Il 47.6 della vittoria di Eric Liddell a Parigi ’24 venne “rubricato” come record del mondo anche se otto anni prima Ted Meredith aveva corso in 47.2/5. Prima di Schoenlebe i due capitoli più importanti erano stati scritti da tedeschi: 46.0 di Rudolf Harbig meno di venti giorni prima dello scoppio della seconda guerra mondiale che sarebbe risultata fatale al formidabile sassone, e 44.9 di Carl Kaufmann a Roma ’60 nel serrato arrivo che diede l’oro, a pari tempo e pari record, a Otis Davis. Kaufmann, curiosamente, era nato a New York. Da quel momento soltanto americani, sino all’avvento di Wayde van Niekerk, figlio del nuovo Sudafrica.
Nelle Olimpiadi che vanno dal 1980 in poi, il raccolto degli europei si limita all’oro del sovietico di etnia russa Viktor Markin (con 44.60 si migliorò di 0.73 in una botta) e al bronzo del ddr Frank Schaeffer a Mosca, e all’argento di Roger Black ad Atlanta: con 44.41 il britannico avvicinò il suo fresco personale, 44.37, ma accusò un distacco record, 1.02, da Michael Johnson. In queste dieci edizioni dei Giochi, su ottanta posti a disposizione nelle finali, gli europei ne hanno occupati 15, qualcosa meno del 20%. In due occasioni, Los Angeles e Seul, zero presenze.
Nelle 17 edizioni dei Campionati Mondiali il bilancio offre la vittoria di Schoenlebe a Roma ’87, i secondi posti di Roger Black a Tokyo ’91 (il campione, Antonio Pettigrew, finì successivamente nella rete dell’antidoping per scomparire in circostanze drammatiche poco più che quarantenne), del gigantesco Ingo Schultz a Edmonton 2001, del francese Marc Raquil a Parigi 2003 e il terzo di Kevin Borlée a Daegu 2011. In questo caso i posti a disposizione erano 136 e gli europei ne hanno conquistati 28, qualcosa più del 20%.
Pur non avendo messo le mani su medaglie né olimpiche né mondiali, una zona alta del ranking va riservata al francese Leslie Djhone (presente in tre finali mondiali e in due olimpiche, primatista nazionale con 44.46) e ai britannici Mark Richardson (tre finali mondiali) e Iwan Thomas: una olimpica, una mondiale e la percezione, solo sfiorata, di poter portare in Galles il record. È stato infatti il “rosso”, 44.36 nel ’97, ad andare più vicino a Schoenlebe. La forza d’urto del Regno Unito può essere riassunta in poche parole: tredici atleti tra 44.36 e 44.74.
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