L’inverno 2021: dove il sogno è iniziato
24 Dicembre 2021Ma quindi il 2021 deve proprio finire? Siamo sicuri? Non è che dura qualche mese in più? Più che altro perché c’eravamo affezionati, è un peccato. Vabbè, se non si può non insistiamo, conserveremo per sempre il ricordo più bello, sperando che emozioni così forti possano travolgerci anche nei prossimi mesi, a partire dalla stagione invernale, ormai alle porte.
L’inverno, appunto. Quando si ripensa ai dodici mesi che stanno per terminare si accende immediatamente la spia dell’estate, ci si stropiccia gli occhi ripensando ai clamorosi di trionfi delle Olimpiadi di Tokyo, incredibili, esaltanti, inebrianti. E se l’estate è molto più di un film, potremmo dire che l’inverno 2021 dell’atletica italiana aveva cominciato a “spoilerare” quanto sarebbe accaduto. Il titolo europeo indoor di Marcell Jacobs a cinque centesimi dal record europeo dei 60, l’argento di Gianmarco Tamberi con una misura che mancava dallo shock di Montecarlo, il record del mondo U20 di Larissa Iapichino nel salto in lungo, emblema della nuova generazione azzurra emersa durante tutto l’anno. Tutti segnali che il botto, quello forte, deflagrante, stesse per arrivare. Tutte indicazioni che sarebbe stato l’anno giusto. L’anno dei sogni.
Nessuno avrebbe mai immaginato l’oro olimpico dei 100 metri (ripetiamolo tutti insieme: l’oro-olimpico-dei-100-metri). Che Marcell Jacobs fosse nella condizione della vita, reattivo, fulmineo, mentalmente solidissimo, era però chiaro già dalla stagione indoor, dominata non soltanto a livello europeo (l’oro di Torun) ma pure su scala mondiale (migliore prestazione dell’anno con 6.47). Un’escalation di risultati magistrale, gara dopo gara, iniziata dal 6.55 di Berlino (dove tornerà per il debutto 2022 il 4 febbraio) e proseguita con il 6.54 di Lievin, il 6.53 di Lodz e l’apoteosi di Torun, Europei indoor ai quali arrivava da favorito e non ha tradito. Di più, ha esagerato, prendendo alla lettera il concetto di distanziamento sociale: mai un divario così ampio tra il primo e il secondo, una dimostrazione di forza devastante, una pallottola che schizza via e colpisce.
È record italiano. È oro europeo. Il primo di una carriera che fino a lì gli aveva riservato più batoste che gioie. Ed è lì, nella notte di Torun, che tutti cominciano a chiedersi… ma allora nei 100 metri quanto potrà valere? E si aprono orizzonti meravigliosi, fiabeschi, che guai a pronunciarli ad alta voce. Considerato pure che la sua forza è la fase lanciata. Il giorno dopo, con la medaglia al collo, i calcoli li fa direttamente Crazylongjumper: “Ho tolto 16 centesimi al mio tempo nei 60. Se tolgo sedici centesimi anche sui 100, partendo da 10.03…”. Oggi lo sappiamo: era stato fin troppo prudente.
E Tamberi? Quella finale di Torun è un labirinto di emozioni, un incastro mentale. Gimbo ci arriva al termine della migliore stagione al coperto da cinque anni, finalmente stabile, sereno, di nuovo su misure da… Giochi Olimpici. Nell’anno più atteso. A pochi mesi dalla dolce ossessione di Tokyo, dall’appuntamento col destino che quel gesso gli ricorda ogni giorno, così come i cinque cerchi sulla parete di casa. Il salto a 2,35 degli Assoluti nella sua Ancona lo fissa in testa alle liste mondiali. E lo stesso 2,35 lo replica anche in Polonia, agli Europei al coperto, ingaggiati da campione in carica. A infilarsi in quell’ingranaggio è il bielorusso Nedasekau, giocatore d’azzardo se ce n’è uno: sbaglia due volte a 2,35 e si tiene un terzo tentativo, l’ultimo, a quota 2,37. È la mossa vincente che sfila l’oro a Gimbo, deluso, certo, ma consapevole del peso specifico di questo argento sulla strada di Tokyo. La risposta a chi dubitava che sarebbe tornato quello di prima.
Poche ore dopo, l’Italia ritrova anche un altro azzurro troppo spesso maltrattato dagli infortuni, quel Paolo Dal Molin che torna sul podio d’Europa con la medaglia di bronzo dei 60hs a otto anni dall’argento di Göteborg.
A Torun, con una squadra allargata a tanti giovani per fare esperienza, come voluto da presidente neo eletto Stefano Mei, brillano anche i quarti posti della staffetta 4x400 femminile (Rebecca Borga, Alice Mangione, Eleonora Marchiando, Eloisa Coiro) con il record italiano indoor, e di Tobia Bocchi nel triplo. Quella di Larissa Iapichino è una finale amara, nel primo evento internazionale “da grande”: quinto posto (con Laura Strati sesta). Ma il talento immenso della giovane azzurra si specchia nella grinta con cui afferra la finale all’ultimo salto disponibile della qualificazione, 6,70 nel momento del dentro-o-fuori. Ed è soprattutto nella naturalezza del sensazionale 6,91 agli Assoluti indoor di Ancona, due settimane prima degli Euroindoor, un risultato che fa il giro del mondo perché nessuna a quell’età (19 da compiere) aveva osato tanto, aggiornando dopo trentotto anni il record mondiale di una leggenda come Heike Drechsler. E in chiave italiana, pareggiando al centimetro il record italiano assoluto indoor che mamma Fiona May aveva realizzato nel 1998. Una misura che avrebbe portato Larissa a Tokyo, senza l’infortunio di Rovereto a fine giugno. Tutto rinviato a Parigi 2024, la “sua” Olimpiade.
Altri segni premonitori, tra strada e cross. Il record italiano della mezza maratona di Eyob Faniel nell’inedito tracciato dell’aeroporto di Siena Ampugnano, a un passo dal muro dei sessanta minuti (1h00:07), preludio del terzo posto alla Maratona di New York in novembre. Il trionfo alla Festa del Cross di Nadia Battocletti, nella rassegna tricolore di Campi Bisenzio, poi splendida settima alle Olimpiadi nei 5000 e regina europea U23 dei 5000 e del cross. Mentre dagli Stati Uniti arrivavano gli echi dei primi diciassette metri nel triplo di Emmanuel Ihemeje (17,26). In generale, un’ottima edizione degli Assoluti indoor, suggellata da Iapichino, Tamberi e Jacobs, ma senza dimenticare la crescita di tanti giovani e lo spumeggiante duello nell’eptathlon tra Dario Dester e Simone Cairoli, entrambi sopra al precedente primato italiano. Era soltanto l’inizio. Che bello che non lo sapevamo.
naz.orl.
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