Gigliotti-La Torre, quando il tecnico è italiano
Lo scienziato ed il guru. Silenzio, parlano loro. Ed anche il sacro rito del "coffee break" (la pausa tra interventi che spesso salva la vita dei convenuti, ristabilendo l'equilibrio glicemico) viene violato, calpestato, addirittura ignorato. Lo scienziato è Antonio La Torre, il guru è Luciano Gigliotti. Intendiamoci: anche La Torre è un guru, così come nessuno, nell'atletica, potrebbe fare a meno di definire Gigliotti scienziato. Ma in entrambi, uno dei due caratteri finisce per prevalere, divenire caratteristico. Il dato comune risulta soprattutto uno: quando parlano di allenamento, gli altri ammutoliscono. Ascoltano. Il congresso dell'Eaca ad Abano Terme, conclusosi domenica pomeriggio, ha consacrato il momento d'oro di questi due tecnici italiani, reduci dal massimo alloro olimpico, conquistato dai loro atleti Brugnetti e Baldini. E le relazioni presentate, inevitabilmente, hanno finito per raccontare il percorso verso l'oro ateniese, svelando alcuni gustosi retroscena. Antonio La Torre ha un compito non facile: illustrare i cinque anni di blackout di Brugnetti, quelli intercorsi tra l'argento (poi oro) mondiale di Siviglia e l'oro a cinque cerchi di Atene. Quinquennio infarcito di delusioni e amarezze, e povero soprattutto di risultati. "Ciò che mi ha dato fiducia, durante tutto questo tempo - dice La Torre - è il fatto che l'atleta abbia mantenuto inalterate le sue caratteristiche". Le stimmate del campione: ovvero, secondo La Torre, la facilità di azione tecnica, l'alta velocità di base, il dato relativo al massimo consumo di ossigeno (il cosiddetto VO2max, ma qui entriamo nello specifico; limitiamoci a dire che il "motore" dell'azzurro ha un rendimento elevatissimo), il basso consumo energetico. "La svolta è stata la gara dei 10km ai Mondiali militari di Catania del dicembre 2003, vinta da Alessandro Gandellini, dove entrambi, sia lui che Brugnetti, sono scesi sotto i 40 minuti nei 10 km: in quella circostanza, abbiamo capito che c'era margine per pensare in grande". Ivano, infatti, arriva a stabilire nel corso del 2004 primati personali in tutte le distanze, dai 5km agli assoluti indoor, fino allo strabiliante record italiano dei 10km di Saluzzo. Sempre lavorando con una particolare attenzione alla qualità dell'allenamento, a scapito della quantità (che invece nel mondo sembra andare per la maggiore in fatto di marcia). Questo perché, secondo il tecnico milanese, esiste, anche nella marcia, una correlazione elevatissima tra la velocità di base espressa sulle distanze più brevi ed i risultati sulle distanze più lunghe, quelle di gara. Teoria confermata dai fatti. L'immagine del traguardo di Atene, tagliato a braccia alzate, strappa convinti applausi. Gli stessi applausi che hanno chiuso la relazione di Luciano "Lucio" Gigliotti, l'uomo capace di portare al trionfo olimpico due atleti diversi nella maratona: Gelindo Bordin e Stefano Baldini. Gigliotti, il "guru" mondiale della corsa di resistenza, della costruzione del risultato in maratona (contando anche l'oro europeo della straordinaria Maria Guida). L'annata di Baldini scorre sullo schermo tra grafici e fotografie, e racconta della ricerca dell'ultimo tassello mancante al puzzle del campione raggiano: il cambio di ritmo, la scalata di marcia che manda il motore fuori giri. "Abbiamo deciso di insistere su questo aspetto dopo Londra - racconta Gigliotti - quando Stefano, dopo un passaggio regolare a metà in 1h03:20, insieme a tutti i migliori, fu annientato da due chilometri percorsi dai keniani Rutto e Korir a 2:53 di media. La decisione di non seguirli, di continuare con regolarità, gli costò la vittoria finale. Dopo aver riflettuto, abbiamo deciso di provare ad incidere sui meccanismi meccanici ed energetici che determinano la capacità di variare il ritmo di corsa, senza ovviamente arrivare a compromettere il risultato finale". Obiettivo finale, in sostanza, la modificazione del motore di Baldini. I mesi successivi raccontano di sedute su sedute costellate di variazioni di ritmo, alternando velocità elevate a fasi di recupero (se così possono essere considerati dei chilometri a 3:10!), in un vortice furioso, un crescendo senza limite. Con un Baldini determinato, a volte ai limite del masochismo. Come quando, durante il periodo di lavoro in valtellina, esasperato da due giorni consecutivi di pioggia torrenziale (e dunque, di riposo forzato), l'azzurro decise di svolgere il lavoro "lungo" previsto per quella giornata, correndo - avanti e indietro - all'interno di un tunnel stradale di due chilometri di lunghezza. Per quasi due ore... "Il risultato della bontà del lavoro è diventato chiaro, circostanziato, a quattro giorni dalla maratona olimpica, quando abbiamo svolto con il dottor Fiorella i consueti test sul lattato". Numeri che lasciano a bocca aperta lo staff azzurro, che anticipano il risultato della gara, e che vanno raccontati. Il discorso è complesso, ma proviamo a semplificarlo per quelli che - come noi, del resto - non hanno dimistichezza con la fisiologia sportiva (gli altri, pazientino, e perdonino l'ardire). Il test, parecchio in soldoni, cerca di individuare a quale velocità l'organismo ragiunge la soglia di passaggio dal meccanismo aerobico (quello che in teoria permetterebbe di andare avanti fino all'esaurimento delle scorte energetiche, proprio quindi dell'azione del maratoneta) a quello anaerobico, e lo fa attraverso la misurazione della concentrazione di lattato (il residuo del meccanismo anaerobico) nel sangue. La "porta" d'ingresso viene considerata intorno al valore di 4 (millimoli per litro); tutto ciò che è sotto è aerobico, tutto ciò che sopra è anaerobico. Ebbene, il rilevamento su Baldini, a 2:57 al chilometro (dopo prelievi a velocità più ridotte), assegna ancora un valore di 1.7! "A quel punto - racconta Gigliotti - alla ricerca di un segnale chiaro di individuazione della soglia, invito Stefano a cercare un ritmo molto oltre il limite". L'azzurro accetta e corre un 1200 in 3:17 (circa 2:45 al chilometro); il responso della strumentazione dice 3.8... "Insomma, non so cosa avrebbe potuto fare in quei giorni sulla mezza maratona. Sui 10.000, certamente meno di 27:20". Anche qui, applausi, sipario, pacche sulle spalle, foto-ricordo. Chapeau, aggiungiamo noi. m.s.
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