Chiude la Convention, Arese con i tecnici



Tre giorni di confronto, discussione, analisi. E di dialogo, all'interno della categoria probabilmente più decisiva tra quelle che operano in atletica. La Convention nazionale dei tecnici, chiusa oggi ad Ancona dal presidente federale Franco Arese, ha raggiunto, al di là degli aspetti più propriamente didattici, soprattutto l’obiettivo di far parlare tra loro gli allenatori italiani. Giunti in massa ad Ancona, visto che i numeri conclusivi confermano quelli iniziali, e parlano di poco meno di 500 presenze. Un piccolo esercito, rappresentativo di quella che fu una volta un’armata, oggi parzialmente smembrata e operante in tanti altri ambiti sportivi. Ma ancora esercito, probabilmente anche con uno rinnovato spirito di battaglia. “Sono contento di essere venuto a trovarvi – le parole di Arese – perché anche la vostra adesione è un segno della vivacità dell’atletica, della sua vitalità. Io credo, anzi, sono fermamente convinto che insieme si possano fare grandi cose”. Come già accaduto la scorsa settimana a Roma, con i presidenti degli organi territoriali, il presidente della FIDAL propone la sua personale ricetta: “Sempre più ci orienteremo verso un modello premiante per i tecnici che producono, sia in termini di risultati in senso assoluto, sia nella più complessa gestione del talento. Il vostro è un ruolo delicato, determinante per l’intero sistema. Se paragonassi la nostra organizzazione sportiva a quella di una azienda, direi che voi rappresentate la rete commerciale, l’anello di congiunzione con il pubblico. E quando questa rete non funziona in un’azienda, non c’è futuro. Ecco perché credo che i tecnici debbano essere sempre più preparati ed efficienti, e soprattutto che debbano stare sul campo. Sento troppa gente in giro che parla di allenamenti via internet, via telefonino: a vincere, invece, credo sia ancora la quotidianità, il rapporto costante con l’atleta, la capacità di interpretarne gli umori”. In precedenza, con l'opera di moderazione del vice presidente federale Alberto Morini, si erano alternati gli interventi conclusivi. Elio Locatelli aveva illustrato l’impostazione data dalla IAAF al lavoro sui giovanissimi, il cui sunto è rappresentato dal programma Kid’s Athletics, mentre Francesco Uguagliati si era prodotto nella presentazione dei risultati dell’analisi del “Progetto Talento”. Una analisi quest'ultima con luci ed ombre, in parte già rappresentata al Consiglio federale di dicembre. “E’ il sistema nel suo complesso che dobbiamo impegnarci a modificare – le parole di Uguagliati – perché i risultati agonistici in queste fasce d’età non possono essere l’unico parametro di riferimento. Vanno presi in considerazione anche altri aspetti, come, per fare un esempio, il rapporto tra i risultati conseguiti e la somministrazione di mezzi d’allenamento”. Interessanti, tra i tanti proposti, i dati sull’allenamento dei ragazzi inseriti nel progetto: una media di quattro allenamenti a settimana della durata di 1,5 ore ciascuno (con contenuti definiti “scarni, dalle metodologie errate o erroneamente utilizzate, o dalle intensità non corrette”). Numeri che fanno sorgere degli interrogativi, soprattutto nel confronto – empirico fino ad un certo punto – con la realtà di molte delle discipline che vanno per la maggiore. Nicola Silvaggi ha sottolineato gli aspetti relativi allo sviluppo della forza, dedicandosi con particolare attenzione al lavoro giovanile e al tema, decisivo in atletica, dell'indispensabile rapporto con la velocità. Esplosivo il discorso di Antonio La Torre, tecnico conosciuto come l’allenatore del campione olimpico di marcia Ivano Brugnetti, ma certamente in grado, per preparazione culturale e capacità di analisi scientifica, di estendere il discorso su tutta la resistenza. Partendo da dati allarmanti (la dirompente progressione dell’obesità nel mondo occidentale, la quasi totale scomparsa degli europei dalle liste delle prove di resistenza giovanili), La Torre ha sottolineato alcuni degli aspetti ritenuti cruciali nell’ambito della “questione” mezzofondo: “Al di là degli aspetti più prettamente tecnici – le sue parole – quella dell’atletica deve essere una vera scelta di vita, condivisa e supportata dalla famiglia e dall’ambiente del ragazzo, in ogni forma. Anche il percorso di studio deve essere considerato compatibile, una volta intrapresa con decisione questa strada. E l’allenamento va inteso in forma globale, fisica ma anche mentale: si deve essere abituati anche mentalmente alla resistenza, non può più essere considerata solo una questione di parametri organici”. D'accordo con Faina sui test: "Non sono tutto. Ricordate che poi comunque conta stare sul campo". Infine, una sferzata a dubbi e timori: “Siamo ormai ad un vero e proprio paradosso. Per evitare la tanto temuta specializzazione precoce, non facciamo più fare ai giovani nessun tipo di lavoro specialistico. Col risultato che arriveranno all’età cruciale senza preparazione fisica e senza preparazione mentale. Non possiamo più permettercelo”. m.s.


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