Un giorno, un'impresa

27 Giugno 2013

Appuntamento quotidiano con le storie dell'atletica

27 giugno. Cinquantaseiesimo compleanno (non è un’irruzione nella privacy e lei certo non si arrabbierà...) per quella che rimarrà sempre la ragazza di campagna, che Paolo Rosi chiamava con affetto la nostra Riccioli d’Oro, per la bassanese che terremotò il mezzofondo con una raffica lunga di primati italiani (quelli sulle due distanze più nobili sono imbattuti, forse imbattibili: 1’57”66 e 3’58”65 vecchi trent’anni non meritano altri commenti) e riuscì a trovare un posto importante in uno scenario molto difficile, smentendo chi pensa che i successi in età precoce preludano a un rapido appassimento.

Mozartiana nei suoi primi exploit, Gabriella Dorio ha finito per coprire un ventennio, ha raccolto molto, all’aperto, al coperto e su quella severa strada che è la corsa campestre e in tutto questo magnifico repertorio può apparire scontato, ma anche molto naturale, accendere ancora una volta i riflettori sul suo giorno dei giorni, l’11 agosto 1984, al Coliseum di Los Angeles.

Cinque giorni prima aveva centrato la sua seconda finale olimpica sugli 800: ottava a Mosca, in una delle competizioni che finì per terremotare la lista all time, a cominciare dal vertice, con il record mondiale di Nadezhda Olizarenko. In realtà, al Lenin, il vero acuto dell’azzurra era venuto nei 1500: quarta, appena al di là dei 4’, inserendosi tra le sovietiche e le ddr e lasciandosi alle spalle le romene. Una medaglia di legno molto pregiato. Quattro anni dopo, senza sovietiche di mezzo e senza la draghessa ceka Jarmila Kratochvilova, quarta anche sul mezzo miglio, dopo aver fatto gara di testa, per essere infilzata nel finale dallo spunto affilato di Doina Melinte e aver ceduto all’americana Gallagher e all’altra romena Lovin.

La finale dei 1500 venne corsa in un ambiente ancora scosso da quanto era accaduto ventiquattro ore prima sui 3000: la collisione tra Zola Budd e Mary Decker aveva privato gli Usa di un oro considerato già acquisito e aveva scatenato la rabbia senza confini dell’americana, anch’ella ex-bambina prodigio. Maricica Puica, dai capelli di stoppa gialla, aveva approfittato dell’occasione e intascato la medaglia d’oro e ora si presentava al via anche sul miglio metrico. Ma era in realtà Doina, caricata dal successo e in possesso di un finale puntuto, a costituire il vero pericolo.

Gabriella studiò la gara come fosse stata una battaglia. Riuscì nella prima parte ad ottenere un ritmo abbastanza lento, perfetto per premere sull’acceleratore a 600 metri dalla fine. Melinte la seguì e alla campana si pose in testa. L’inizio dell’ultimo rettilineo dà il via a una serie di fotogrammi ricchi di suspence: Gabriella attacca, Melinte prova a resistere, Puica arriva da dietro provando a spremere quel che le rimane. Rivisti al rallentatore, cento metri drammatici, risolti da Riccioli d’oro per mezzo secondo.

Dei successi raccolti al Coliseum, Augusto Frasca, allora capoufficio stampa della Fidal, fece stampare una serie di cartoline. In quella di Gabriella, scattata appena oltre il traguardo, gli occhi hanno perso la ferocia e sono dolci come quelli della figlia che sarebbe arrivata, Anna Chiara.

Giorgio Cimbrico



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