Una storia al giorno
31 Luglio 201331 luglio. Buon 46° compleanno per Peter Rono che festeggerà nella sua casa del New Jersey e riceverà telefonate e cinguettii da parte di amici e colleghi della New Balance, dove da anni si occupa di marketing. Rono non ha ballato una sola estate, ha ballato un giorno ma è bastato per proiettarlo nella galleria di quelli che hanno lasciato il segno: il più giovane della storia a conquistare l’oro olimpico nei 1500 (aveva 21 e due mesi), il secondo kenyano a metter le mani sulla vittoria a cinque cerchi nel miglio metrico dopo King Kip Keino. E tutto, se non da perfetto sconosciuto, da solidissimo out-sider. E tutto avvenne il 1° ottobre 1988, a Seul: fra non molto il giubileo d‘argento della sua impresa.
Peter viene da Kapsabet che di mezzofondisti ne ha sfornati a pattuglie, a battaglioni. La maggior parte è passata sotto l’occhio attento di fratello Colm O’Connell, il missionario irlandese a cui tutti noi che amiamo l’atletica e l’Africa dobbiamo molto. “Devo essere sincero – raccontava una volta, dopo una delle imprese mirabolanti di David Rudisha – quando da Cork sono arrivato alla St Patrick’s School, sull’altopiano, di atletica non capivo nulla. L’unico sport che conoscevo era il calcio”.
Rono è molto piccolo e molto leggero (1,68 per una cinquantina di chili: foto recenti mostrano che la bilancia ora fatica un po’ di più quando lui vi sale sopra…), fa le sue esperienze nella corsa campestre (è nella squadra juniores a Neuchatel nell’86, nel giorno del primo successo di John Ngugy) e finisce secondo nei 1500 ai primi Mondiali di categoria in un’Atene formato fornace.
Questi sono tutti i suoi precedenti, uniti a un record personale di 3’34”54 (buono, non stordente) quando il calendario indica l’inizio dell’anno olimpico. Detto con tutta sincerità, Peter ebbe anche fortuna: il somalo Abdi Bile fu costretto a rinunciare per una frattura da stress e identica resa venne pronunciata da Said Aouita. Lo scenario era molto favorevole ai britannici: l’airone Steve Cram era l’unico a esser sceso sotto i 3'31” e l’ex-carpentiere Peter Elliott era una nota pellaccia. E il ruolo del jolly impazzito poteva essere interpretato dal nasuto tedesco Jens Peter Herold, forte nel finale. Nessuno pensò di impostare la gara su ritmi forsennati, tutt’altro. E così fu Peter a rompere gli indugi: “Qualcuno mi verrà dietro, pensavo”. La reazione della muta fu tardiva e in quei metri finali Rono distrusse il record del mondo delle occhiate all’indietro: tredici. Agli altri non rimase che spartirsi le spoglie: Elliott finì secondo a 19 centesimi, Herold terzo a 25, Cram quarto a 28.. Per il calligrafico corridore di Gateshead, in quel momento padrone del mondiale del miglio dopo esserlo stato dei 1500, fu l’addio al sogno olimpico. “E’ stata più dura vincere i Trials kenyani” furono le parole che Peter tramandò ai posteri alla fine del suo indimenticabile giorno. A volte i saltafossi sanno anche esser ribaldi.
Giorgio Cimbrico
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