Una storia al giorno

15 Agosto 2013

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

15 agosto. Vent’anni fa, in quello che un tempo veniva romanticamente chiamato Neckarstadion, Linford Christie chiuse il cerchio e lo fece con tonanti modalità: campione europeo proprio a Stoccarda sette anni prima, campione del Commonwealth, campione olimpico a Barcellona ’92 quando, per quell’oro conquistato in tarda età, 32 anni, divenne il “nonno del vento”, completò la collezione diventando campione mondiale in 9”87, tuttora primato continentale. Se ai Giochi aveva approfittato dell’assenza di Lewis, sbiadito protagonista dei Trials, questa volta, nella capitale del Wurttenberg, lo affrontò e lo lasciò a un metro e mezzo senza che il “figlio del vento” riuscisse a salire sul podio. Dietro Linford, il piccolo Andre Cason e Dennis Mitchell, una delle tre frecce americane che due anni prima, a Tokyo, avevano trafitto e portato sull’orlo di una crisi di nervi il britannico, estromesso dalla distribuzione delle medaglie. “Era come esser tornati bambini, quando si andava a veder passare i treni”, commentò mischiando humour  malinconia.

Il londinese Christie, terzo britannico a diventare olimpionico di 100 dopo l’ebreo lituano Harold Abrahams e lo scozzese Alan Wells, è giamaicano di nascita (St Andrew) e di generose fibre come Ben Johnson (di Falmouth) e come Donovan Bailey (della Manchester caribica), tanto per limitarsi a chi ha concesso il proprio talento ad altre bandiere.

Aggettivo più usato nei suoi confronti: controverso. Abbastanza normale per chi entra in scena a 26 anni (titolo europeo indoor dei 200 sul pistino del vecchio palasport di Madrid), replica qualche mese dopo all’aperto sulla sua distanza, conquista il legno, tramutato in bronzo quando scatta l’ora fatale a Big Ben, a Roma ‘87. La caduta di Johnson a Seul provocherà un altro avanzamento - da terzo a secondo – prima del sorgere di forti nuvole temporalesche sul suo conto. E’ l’ormai arcinoto caso del tè al ginseng che provoca, a strettissima maggioranza, la clemenza della corte in giorni in cui i Giochi stavano deragliando.

Da quel momento, a parte il quarto posto di Tokyo, Linford entra nella dimensione che lo renderà il più decorato atleta britannico della storia offrendogli anche un riconoscimento cavalleresco, l’Obe. Prima dell’uscita di scena, segnata da una positività, avrebbe avuto ancora la chance di guadagnare un posto in prima pagina: la finale olimpica di Atlanta lo ebbe clamoroso e furioso protagonista quando, dopo una falsa sua e una di Ato Boldon, lo starter gliene attribuì una seconda e lo spedì fuori. LInford si allontanò dopo lunghi minuti di protesta e dopo aver scagliato le scarpette. Il nonno del vento aveva 36 anni e la sua formidabile carriera di esploso in ritardo stava per finire, con una lunga coda di polemiche e di scontri legali con i disinvolti reporter dei tabloid. 

Giorgio Cimbrico



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