Una storia al giorno

23 Settembre 2013

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

23 settembre. La vigilia di quel che accadde venticinque anni fa a Seul è una lunga storia di sospetti, truffe, occhi giallo itterizia, muscoli che vogliono uscire dalla guaina della pelle, appoggi violenti, braccia al cielo, trionfi effimeri, vergogne, cadute, apoteosi concesse dal laboratorio. Fu il giorno che preparò l’apocalisse, il remake del tuffo di Lucifero verso il basso, il terremoto che scosse il consiglio d’amministrazione che governa lo sport.

Tutto era iniziato prima, tre anni prima quando Ben Johnson si era affacciato sulla scena e a Zurigo si era lasciato alle spalle per la prima volta Carl Lewis, il Jesse Owens della seconda metà del XX secolo. E quando si erano trovati l’uno contro l’altro con un titolo importante in palio – la corona mondiale, in palio sul lungo ring dell’Olimpico di Roma – il giamaicano di Toronto (o, se preferite, il canadese di Falmouth) aveva lasciato a un metro chi aveva visto la luce nello stesso profondo sud di Jesse, aveva spalancato le nuove dimensioni che quel 9”83 lasciavano intravvedere e aveva riattizzato i fuochi che riscaldano i soliti, triti discorsi sui limiti umani. Carl incassò con una freddezza che non riusciva a mimetizzare l’ira che lo scuoteva: Johnson aveva già ricevuto un soprannome che veniva sussurrato – Benoid – mentre la corsa verso l’oro di Seul era stata lanciata.

Per Big Ben il 1988 scandì rintocchi lenti e tristi: due infortuni muscolari e un dissidio con Charlie Francis, il suo creatore, in tutti i sensi. Guarì e ricucì, ma la forma era carente, l’avvio macchinoso. Appesantito, poco reattivo, corse in 9”98 a Sestriere senza che vento a favore e altura producessero benefici effetti. Si ripresentò a Zurigo e Carl ebbe la meglio 9”93 a 10”00; in mezzo, Calvin Smith 9”97. Qualche giorno dopo, altro Weltklasse, quello di Colona, e altra resa, dietro a Smith e a Dennis Mitchell. A quel punto tornò in Canada, vinse i campionati nazionali e si disse pronto e in disaccordo con quelli che vedevano Lewis destinato a concedere un bis sui 100 che nessuno nella storia dei Giochi aveva saputo offrire. “Vedremo quando la pistola sparerà”.   

Il flash back è finito e ha condotto a questo giorno lontano un quarto di secolo. Ora è il momento della sfida a una distanza sempre più ravvicinata: Carl (10”14 e 9”99) è elegante ed efficace nei primi due turni; Ben, più che mai Big, offre la puzza dei freni quando decelera vistosamente qualificandosi alle semifinali in 10”17, lasciando via libera a Linford Christie e a Mitchell, quasi desideri mantenere intatta la carica di dinamite che sente dentro, con la miccia già accesa. E venticinque anni fa – domani – Ben diventò campione olimpico in 9”79 (sarebbe ancora il sesto della storia…) e il suo regno fu più breve di quello di Riccardo III, due giorni, e Carl ebbe la medaglia che prese il posto di quella che aveva chiuso nelle mani di suo padre, prima che la terra lo accogliesse. Fu una commedia umana che neppure Balzac avrebbe saputo scrivere così spietata, profonda, avvincente. 

Giorgio Cimbrico



Condividi con
Seguici su: