Una storia al giorno

08 Ottobre 2013

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

8 ottobre. Il 74° compleanno di Elvira Anatolevna Ozolina si trasforma nella buona occasione per raccontare la storia di una dinastia dotata di braccio buono. Normale per chi è nato sulle rive del Baltico, il mediterraneo del Nord su cui hanno visto la luce non tutti ma tanti colossi del giavellotto.

Il 1960 fu l’anno di Elvira, a 21 anni ancora non compiuti campionessa olimpica davanti a un’ormai 38enne Dana Zapotkova e capace di spostare due volte il record mondiale, sino a portarlo in prossimità dei 60 metri. Nata dove la Neva entra in mare (Leningrado, oggi San Pietroburgo), trovò l’uomo della vita in chi, da lettone, seppe spesso… mettere in Riga il mondo: Janis Lusis, che un giorno si lasciò andare a una dichiarazione impegnativa: “Solo chi è nato sul Baltico può dedicarsi con successo a questo esercizio”.

Dopo una collaborazione reciproca, Elvira e Janis misero al mondo Voldemars, naturalmente giavellottista, ma, è bene precisare, non all’altezza di tanta madre e di tanto padre, il basettone che mise assieme un formidabile raccolto: le medaglie delle tre “specie” ai Giochi, quattro titoli europei, due record mondiali e un formidabile dominio impresso sugli anni Sessanta. Solo la famiglia Zatopek ha una collezione più vasta.

Il capofamiglia, anch’egli 74enne e così disinvolto da esibire una lunga coda di capelli bianchi, ha scritto molte pagine e la più memorabile coincide con una sconfitta che Hemingway avrebbe etichettato da invitto. Capitò il 3 settembre 1972 a Monaco di Baviera quando, dopo aver condotto per cinque turni, venne superato dalla botta del mefistofelico Klaus Wolfermann, 90,48. A quel punto Janis aveva ancora un lancio a disposizione, con la chance di rovesciare la situazione, come era riuscito a fare quattro anni prima a Mexico. Il giavellotto viaggiò a lungo, andò a piantarsi nell’erba dell’Olympiastadion e un lungo silenzio seguì la misurazione. Sino al materializzarsi sul tabellone di quel 90,46 che diede la vittoria al tedesco con la più piccolo differenza consentita: a quel tempo i centimetri dispari non erano contemplati.

Come nota David Wallechinsky nel suo fondamentale “Complete book of Olympics”, durante la guerra un piccolo Lusis aveva assistito alla morte del padre per mano delle truppe tedesche che avevano invaso la Lettonia, ma quello spaventoso ricordo non gli impedì di diventare amico di Klaus che l’anno dopo, a Leverkusen, dopo il titolo olimpico gli sottrasse anche il record del mondo.

Giorgio Cimbrico



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