Una storia al giorno
26 Novembre 201326 novembre. Poco più di due settimane fa Egil Danielsen ha compiuto 80 anni e oggi può festeggiare il 57° anniversario della sua rapsodica impresa che centrò nel gigantesco stadio di Melbourne alle cinque della sera, facendo coincidere il record del mondo con l’oro olimpico, un’impresa che, sino a quel momento e limitatamente ai primordi, nella specialità era riuscita solo allo svedese Erik Lemming. L’aggettivo che precede la parola impresa può apparire pretenzioso ma è il più adatto alla circostanza.
Se il giavellotto del norvegese nato ad Hamar, nei pressi di Oslo, fosse atterrato piatto o se il suo quarto lancio si fosse attestato sulla media dei precedenti (e dei due che sarebbero seguiti), Egil avrebbe raccolto una misura attorno ai 71 metri, finendo dietro a Giovanni Lievore, che il rapporto ufficiale riporta al sesto posto con 72,88, e magari alle spalle anche del francese Michel Macquet che andò vicino ai 72. E invece pescò il più grosso dei conigli nel più profondo dei cilindri, il giavellotto andò a piantarsi a 85,71, quasi due metri oltre il record che il polacco Janusz Sidlo aveva firmato a Milano cinque mesi prima usando un attrezzo Held che gli era stato fornito dal febbrile Giorgio Oberweger. Ma non fu solo questione di fato benigno.
Il racconto della vittoria di Danielsen percorre sentieri romantici, non più battuti. Sidlo, in testa con un lancio che aveva sfiorato gli 80 metri, offrì al norvegese la chance di usare il suo giavellotto in metallo, di fabbricazione svedese, l’ultimo grido. Egil accettò, lasciò nella rastrelliera il suo attrezzo in legno e cominciò a soppesare quella novità. In quel momento entra in scena il francese Macquet che gli allunga una tazza di caffè. “Non ne bevo mai”, dice Danielsen. “Dai, butta giù: male non fa”, replica Macquet. Egil butta giù: “Uno shock: il cuore prese a battermi all’impazzata. Prendo la rincorsa, sento di esser veloce e allora sparo una gran spallata”. Una ricetta semplice, come per preparare una tazza di caffè. Il giavellotto volò e finì dalle parti della pedana del salto con l’asta. Il primo a congratularsi fu Sidlo che in un colpo, e per gentile concessione, aveva perso il vertice e il record del mondo. Un repertorio da cavalieri dei tempi antichi.
Quel gran pope di Janis Lusis sosteneva che è adatto all’esercizio solo chi è nato sulle rive del Baltico, un crogiolo di popoli che comprende finlandesi, polacchi, estoni, lettoni, lituani, svedesi, tedeschi del nord. Ma i norvegesi, che baltici non sono, hanno saputo lasciare il loro segno. Danielsen, certo e, a seguire, Terje Pedersen che strappò il record del mondo a Carlo Lievore e poi lo elevò ben oltre i 90 metri passando per primo quel confine, e Andreas Thorkildsen, capace di fare incetta: due ori olimpici, uno mondiale, due europei. I vichinghi di una volta usavano la scure, i moderni hanno più dimestichezza con la lancia.
Giorgio Cimbrico
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