Una storia al giorno
17 Dicembre 201317 dicembre. Chissà se oggi, giunto all’età importante dei tre quarti di secolo, Peter Snell ricorderà quello che gli disse Arthur Lydiard, mentore e artefice: “Ehi Peter, con la velocità che hai, non resta che metter dentro un po’ di resistenza e diventerai uno dei più forti di sempre”. Peter accettò di “metter dentro un po’ di resistenza”, corse sulle balze attorno a Waikato e qualcuno sostiene che la solita razione dura gli toccò anche il giorno del suo matrimonio.
Alla scuola di Te Aroha (tutti maori i nomi che punteggiano vita e opere di chi è nato a Opunake) era un all-arounder, eccellente tennista, buon giocatore di rugby e di cricket. Proprio la corporatura colpì quelli che lo incrociarono nella camera d’appello dell’Olimpico, prima delle batterie degli 800. Era robusto quel tipo con i calzoncini neri, la maglietta nera e la felce d’argento. Un All Black robusto e sconosciuto, iscritto alle Olimpiadi con1’49”2 sulle 880 yards. Prestazione buona, non sconvolgente. I favoriti erano altri: il belga Roger Moens (primo sotto l’1’46”) il giamaicano George Kerr, a quel tempo finito sotto l’etichetta Bwi, British West Indies, la federazione che riuniva le isole caraibiche, dalle Bahamas a Trinidad.
Per la Nuova Zelanda il 2 settembre 1960 fu un giorno nella gloria, indimenticabile: il pieno pomeriggio offriva, l’una dopo l’altra, le finali degli 800 e dei 5000 e il mondo alla rovescia ebbe la meglio sull’altro emisfero. Iniziò Snell con quel finale che sembrava una fuga verso la meta, con quei 25 metri che annichilirono e piegarono i favoriti. “Chi ha vinto?” disse uno stravolto Peter rivolgendo la domanda che, nel rugby, di solito fa il pilone che ha vissuto a testa bassa una lunga guerra di trincea. “Tu hai vinto”, gli rispose Moens che, inutile dirlo, ci era rimasto male ma mostrò grande signorilità. Subito dopo toccò al coraggioso Murray Halberg dal braccio anchilosato metter le mani sull’oro dei 5000.
Snell decise di offrire qualche capolavoro al pubblico di casa e così il 27 gennaio 1962 sull’erbosa e piccola pista (352 metri di sviluppo) dei Cook’s Gardens di Wanganui corse il miglio in 3’54”4 strappando per un decimo il record mondiale a Herb Elliott, per cospargere di nuove scintille la rivalità tra kiwis e canguri. Una settimana dopo, a Christchurch, ancora su pista verde, fece accoppiata metrico-imperiale su 800 e 880 “passando” in 1’44”3 e chiudendo in 1’45”1. Di lì a poco, ai Giochi del Commonwealth, a Perth, Western Australia, affiancò i titoli di mezzo miglio e miglio. Usando uno stilema assai usato, poteva dirsi pronto per la doppietta olimpica che centrò a Tokyo sostenendo con sicurezza la corsa d’attacco di Wilson Kiprugut e offrendo un formidabile 1’45”1. Cinque giorni dopo, con un’esperienza sui 1500 che si riduceva ai due turni eliminatori, non ebbe problemi e vinse in 3’38”1, con un secondo e mezzo di margine sul ceko Josef Odlozil. Il bronzo di John Davies confermò che in quel periodo storico la piccola Nuova Zelanda era al vertice del mezzofondo e ci sarebbe tornata una generazione dopo.
Gli ultimi acuti sono del novembre ’64, lanciati a distanza di pochi giorni a Auckland: 2’16”6 sui 1000 e 3’54”1 nel miglio. A 26 anni, nel pieno, decise che poteva bastare così: si trasferì negli Stati Uniti e lavorò brevemente per un’industria del tabacco prima di tuffarsi in studi di medicina e fisiologia che lo portarono a diventare prima ricercatore e poi professore associato. Dieci anni fa tornò a fare girare le gambe e conquistò il titolo di campione americano di orientamento nella sua categoria di età.
Peter è l’uomo che ha ottenuto di più in un tempo breve. Ha avuto due statue e può vantare una lista infinita di onorificenze e di cavalierati. Nel paese del rugby è stato riconosciuto come l’atleta neozelandese del XX secolo. Tutto molto meritato.
Giorgio Cimbrico
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