Una storia al giorno
21 Dicembre 201321 dicembre. In questo giorno di solstizio d’inverno, Renato Canova gira attorno alla boa dei 69 anni, si inoltra verso i tondi 70 e l’età stupisce perché negli ultimi 40 lui non è mutato né sotto l’aspetto fisico (capelli bianchi e nulla più) né per spirito (sempre alto ) né per eloquenza, sempre travolgente. Di giorno, di notte, all’alba. Una bella chiacchierata, con lui, non ha confini governati dal sole o dalla luna: eloquente, in questo senso, il fatto sia venuto al mondo proprio in questo confine tra buio fitto e luce che sta per riaffacciarsi.
Tra i tanti amanti perduti dell’atletica incontrati in un girovagare che va avanti da qualcosa più di quarant’anni, Renato ha un posto speciale: è stato uno dei primi in cui ci siamo imbattuti e subito si rivelò per quel che è, un allenatore inesausto, un ricercatore, un collezionista di fatti, di volti. Nel Cinquecento sarebbe stato un uomo microcosmo: scienziato, annalista, sperimentatore, viaggiatore, esploratore.
Con il cognome che si è ritrovato addosso, Canova ha cominciato a scolpire la sua atletica negli anni Settanta, a Torino; ad appena 27 anni era uno dei responsabili della 4x400 azzurra che agli Europei del ’71 strappò la medaglia di bronzo e, eclettico com’era, di lì a poco si trasformò in tecnico delle prove multiple al tempo del talentuoso spezzino Alessandro Brogini. Non glì bastò, andò a battere altre strade, scovò nelle non competitive Maria Curatolo, la maratoneta piccola piccola che lasciava perplesso Primo Nebiolo ma che andava dannatamente forte: seconda agi Europei del ’94.
Sul finire dei Novanta, le lunghe distanze portarono Renato in un primo pellegrinaggio kenyano. Il colpo di fulmine diventò un amore profondo, radicato, sino a trasformarlo in un cittadino di Iten, uno dei luoghi simbolo della corsa. Prima, il sodalizio con il balzano purosangue Chris Koskei, campione mondiale delle siepi a Siviglia, poi con il fratello di Chris, Stephen Cherono (in Kenya la difformità del cognome è merce piuttosto frequente) destinato a trasformarsi in Saif Saaeed Shaheen, quando abbracciò la cittadinanza del Qatar e, di pari passo, i vantaggi economici garantiti dal paese del Golfo.
Ha sfornato e affinato una legione di talenti africani, ha messo assieme un patrimonio di 38 medaglie conquistate in eventi con etichette mondiali, ha da tempo ottenuto una “libera docenza” che lo porta a guidare seminari Iaaf in ogni parte del mondo. Per una volta la speranza è che la rubrica venga letta da chi oggi l’ha avuta in dedica. Ci si sente di rado ma è un vecchio e solido amico.
Giorgio Cimbrico
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