Sopot 2014 Storie Mondiali

09 Marzo 2014

Le origini di Ashton Eaton, la Corea di Richard Kilty, le scelte di Tom Walsh. Tre racconti brevi dalla rassegna iridata

Meglio avere i geni di due razze per affrontare il caleidoscopio di fatica e di abilità delle prove multiple. Ashton Eaton è il quinto e ultimo arrivato di una dinastia che parte con Jim Thorpe (madre pellerossa Sac Fox, padre irlandese con qualche goccia di sangue francese), prosegue con Francis Morgan “Daley” Thompon (padre nigeriano, madre scozzese), Dan O’Brien (padre afroamericano, madre finlandese), Brian Clay (padre afroamericano, madre giapponese: non fu difficile trasformarlo nel Tiger Woods dell’atletica…) e, appunto, Ashton, nato da un americano di radici africane e da Roslyn, indicata genericamente nelle biografie come britannica. Limitandosi ai Giochi e ai Mondiali all’aperto, la collezione messa assieme da questi campioni conta su sette ori e sei titoli. Dire rigogliosa è poco e non c’è bisogno di altri commenti, se non dire che questi meravigliosi multipli, questi mirabili incroci, diventano un simbolo di luce che spedisce nell’ombra più profonda le schifezze del razzismo, dell’apartheid, dell’esclusione e i luoghi comuni più volgari.  Unica razza? Quella umana. L’ha detto Einstein, ma non è necessario essere così intelligenti per capirlo. 

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Chi tocca Middlesbrough, si becca una Corea. Sufficiente dare un’occhiata al luogo di nascita di Richard Kilty, il britannico che ha fatto il colpo. E’ proprio la città del nord dell’Inghilterra dove, quasi 48 anni fa, si consumò il dramma degli azzurri di Mondino Fabbri, sconfitti dai nordcoreani che il “secondo” del ct, Ferruccio Valcareggi, aveva descritto come tanti Ridolini. Kilty ha un soprannome che è tutto un programma, Teesside Tornado, e una storia di delusioni che lo hanno accompagnato sino gran riscatto. Non esser stato selezionato per i Giochi di Londra ha rappresentato uno dei momenti più tristi della vita di corsa di questo giovanotto solido dal viso se non minaccioso, certo molto deciso. Giunse persino a pensar di cambiar bandiera e di gareggiare per la Repubblica d’Irlanda. I britannici, è noto, grazie a nonni e nonne che provengono da Scozia, Galles e isola limitrofa hanno eccellenti chances di mutar maglia e bandiera con una certa facilità. La prostrazione morale di Dick era anche dovuta la fatto che in Gran Bretagna aiuti economici e tecnici toccano solo a chi naviga nell’alto livello: l‘assistenzialismo è poco praticato. L’anno scorso era nella squadra per Mosca, panchinaro (utilizzato) per la 4x100, poi squalificata in finale. E ieri ha infilzato il resto del mondo, Cina compresa, diventando il secondo sprinter di pelle bianca a diventare campione mondiale dei 60. Il primo e unico era stato il greco Papadias, nel ’97. Lo stadiolo dove l’Italia venne sconfitta dal gol di Pak do-ik non esiste più, ma Middlesbrough colpisce ancora. Per Bracy e tutti gli altri è stata una Corea.

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Tom Walsh è di Canterbury, non la cittadina a sud di Londra famosa per la cattedrale, ma quella degli antipodi dove da quasi un secolo e mezzo maneggiano con forte profitto la palla ovale. Bizzarramente, Tom ha scelto un oggetto sferico. Non una palla, ma un peso da sedici libbre, e con qualcosa di rotondo ha finalmente portato in alto il paese degli All Blacks. “Avevo capito di essere in forma dopo aver passato una settimana in Svizzera con Valerie Adams e con il suo allenatore Jean Pierre Egger”, ha raccontato il 22enne Tom dopo aver bruciato con 21,26 l’idolo di casa Thomas Majewski e fornito una delle grandi sorprese nel lungo fine settimana passato nel “teatro” di Sopot. La Nuova Zelanda, vecchia terra di mezzofondisti, ha fatto man bassa nel peso perché naturalmente Valerie ha scritto la sua nona sinfonia di spessore olimpico e mondiale lasciando a 70 centimetri la tedesca Schwanitz e a quasi un metro e mezzo la cinesona Gong. Per chi ama i numeri e tiene aggiornati gli albi, il 21,26 di Walsh è record nazionale, record continentale indoor ed eguaglia anche la miglior misura di sempre dell’Oceania, firmata dall’australiano Scott Martin.

Giorgio Cimbrico

Le foto della seconda giornata



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