Lanci senza frontiere
13 Giugno 2014di Giorgio Cimbrico
Lanci senza frontiere, martellate senza confini, voli di quell’attrezzo che naviga come un aliante recapitati dai quattro angoli del globo, anche quelli più inattesi. Molti anni fa Janis Lusis, sovietico ma soprattutto lettone, affermò dall’alto delle sue basette XXL che solo chi era venuto alla luce sul Baltico, il Mediterraneo del Nord, poteva primeggiare nel giavellotto, ammettendo nella grande famiglia, oltre ai suoi fratelli di Riga e dintorni, lituani, estoni, russi, finlandesi, svedesi, tedeschi e polacchi. La visione balticocentrica, dettata da un forte orgoglio, escludeva norvegesi, italiani, britannici, ungheresi, ceki, russi di variegate repubbliche e i rari americani che si affacciarono sulla scena.
Oggi la globalizzazione sta vivendo un’accelerazione violenta, con ii primo roar fatto echeggiare da Keshorn Walcott due anni fa Londra. Trinidad e Tobago all’atletica avevano dato Hasely Crawford, Ato Boldon e in tempi assai più recenti Richard Thompson, tutti tipi da rettilineo, nel caso di Ato anche da curva, ma il giavellotto era uno straniero. In un mese rovente Keshorn, classe ’93, annullò queste siderali distanze: titolo mondiale giovanile a Barcellona e titolo olimpico a Londra in uno stupore che poteva esser solo pareggiato da una vittoria nell’hockey su ghiaccio della Repubblica del Togo.
In quei momenti vennero in mente certe vecchie, false e razziste riflessioni del tipo: i neri non vanno bene per il nuoto perché in acqua sono più pesanti dei bianchi. La spiegazione era molto più semplice: i neri non avevano le piscine. E non avevano neanche giavellotti o martelli o gabbie o allenatori.
Molti anni fa, alla vigilia dei Giochi del Commonwealth del ’74, a Christchurch, il Kenya si arrischiò a portare un giavellottista in erba, John Mayaka, che nel periodo di ambientamento in Australia ebbe la fortuna di trovare un lanciatore locale che generosamente gli svelò l’arcano dei passi speciali. In breve: ai Giochi dell’’ex-Impero Mayaka finì terzo, dietro gli inglesi Clover e Travis, sparando a 77,56.
Julius Yego, non alto e con qualche chilo di troppo attorno alla vita (niente a che vedere con Alfred, l’ottocentista stortignaccolo che fece il colpo a Osaka), proveniente dal distretto dei Nandi, record personale a 85,40 e quarto ai Mondiali di Mosca, è l’erede di Mayaka. Perché? Semplice, perché ha un eccellente allenatore, Pettari Pironen, finlandese, che a Kuortane regala la sua sapienza, ora anche nell’ambito dei centri di specializzazione e sviluppo della Iaaf. Kuortane non è un posto qualsiasi: è il luogo dove Ari Parviainen è diventato il secondo della storia (del nuovo attrezzo) con 93,09 e Konstadinos Gatsioudis con 91,69 è salito alla quinta posizione all time. E’ di frequente anche la residenza di Ihab Abdelrahman El Sayed che con l’89,21 di Shanghai è salito al 13° posto di sempre scavalcando Tom Petranoff. Exploit faraonico dell’egiziano grande e grosso (1,94 per 96 dice la scheda) che con il kenyano coetaneo (entrambi sono dell’89) divide l’allenatore, il formidabile Pironen. Per respirare la nuova aria che spira e che spinge lontano l’attrezzo, sufficiente dare un’occhiata alle graduatorie mondiali di stagione; dietro El Sayed, secondo con 85,48 è il giapponese Ryohei Arai, quinto Yego, ottavo Walcott e nono Shih Feng Huang di Taipei.
La visione balticocentrica è spezzata per sempre, sostituita da uno scenario copernicano.
L’Egitto ha spedito in orbita anche Mostafa Al Gamel che in nemmeno due anni è passato dai poco più di 71 metri in qualificazione ai Giochi di Londra, all’81,59 di marzo allo stadio del Cairo, raggiunto dopo breve viaggio: Mostafa è nato 26 anni fa a Giza, dove martellavano sin all’antichità per tirar su piramidi e sfinge con una dieta a base di pane e cipolle che non era il massimo. Naturalmente il giovanotto tira il mondo, una muta dove ungheresi, polacchi, bielorussi, russi e slovacchi sono maggioranza ancora schiacciante.
Sommovimenti in atto anche nel disco. A dare il via all’allargamento delle frontiere aveva iniziato il bell’iraniano Ehsan Hadadi, 69,32 di limite personale e uno dei pochi a battere i lituani a casa loro. Ora si stanno facendo sotto i giamaicani che in questo momento hanno tre uomini tra i primi 30: Fedrick Dacres (l’anno di nascita, il 1994, merita un punto esclamativo) quinto con 66,75, Jason Morgan 19° con 64,72 e Chad Wright, 28° con 63,96. Non c’è molto da stupirsi: mettete un po’ di chili addosso a dei tipi con il fisico alla Bolt e i dischi daranno musiche celestiali. Nel peso la novità è offerta dalla Nuova Zelanda: Tomas Walsh, annata ’92, agli scontri in prima linea dell’ovale ha preferito la sfericità della palla da sedici libbre, è andato sul podio ai Mondiali indoor di Sopot ed è il primo All Black a spingersi al di là dei 21 metri: 21,26 al coperto e 21,16 all’aperto, tallonato a cinque centimetri da un altro giamaicano bello grosso, O’Dayne Richards. E ancora dall’Egitto lancia i primi squilli Mostafa Ahmed, 21,79 con il pesino da 6 chili. Il mondo cambia. Anzi, è già cambiato, nonno Janis.
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