L'epica della Coppa Europa

21 Giugno 2014

Le vicende e i protagonisti che hanno scritto la storia della manifestazione inventata da Bruno Zauli con la memorabile sfida tra Urss e Ddr a Kiev nel 1967

di Giorgio Cimbrico

Negli anni lontani la Coppa Europa (dal 2009 è diventata il Campionato Europeo a squadre) aveva una sua epica costruita su quella che, con buona pace di quelli che usano praticare la prudenza verbale, potremmo chiamare ferocia, una ferocia da far piovere sullo scontro aperto, senza quartiere, in nome di uno spirito di squadra di seme rugbystico trasportato nell’atletica. D’altra parte, che i due sport siano vicini è testimoniato da una serie di campioni che transitarono in una direzione e nell’altra. Alcuni sono volati nel mito: Eric Liddell, il principe Aleksandr Obolenski che, in maglia bianca con la rosa, sistemò gli All Blacks, Gareth Edwards, Marcello Fiasconaro che proprio in Coppa Europa visse una pagina molto amara a causa di uno starter indeciso e di un giudice troppo zelante.

Coppa non fa rima, ma è come lo facesse, con lotta, da trascinare per due pomeriggi, spesso con scioglimento finale, come in tutti drammi che si rispettino, affidato alla 4x400. In questo senso una delle edizioni indimenticabili fu la seconda, allo stadio di Kiev, un ispido testa a testa tra Unione Sovietica e le due Germanie, segnato da capovolgimenti, sorpassi e controsorpassi. A esaminare le squadre in campo, i sovietici con falce e martello sembravano senza problemi, ma sia i tedeschi con martello e compasso sia i federali con aquila seppero vendere cara la pelle.

I Ddr raccolsero quasi il massimo (tre vittorie e un secondo posto) nelle corse tra gli 800 e i 10000, segnate dalla doppietta di Manfred Matushewski e dal primo e secondo posto di Jurgen Haase che un anno prima aveva rischiato grosso quando, accettando l’invito del collega Jurgen May, aveva calzato un paio di Puma al posto delle solite Adidas. Haase, campione europeo in carica dei 10000 e uno dei primi europei ad adottare gli insegnamenti di Arthur Lydiard, venne perdonato; May no, ed escluso per sempre dalla squadra nazionale.

Torniamo a Kiev ’67: I padroni di casa erano fortissimi nei concorsi ma anche i “compagni” tedeschi avevano le loro stelle. Uno era Wolfgang Nordwig, detto faccia di poker: bocca sottile, e occhi penetranti. Otto punti vitali dopo aver lasciato a cinque cm (5,10 a 5,05) Gennady Blitnetsov. Quando i russi calarono i loro assi, i tedeschi non cedettero: Manfred Stolle tenne il secondo posto attaccandosi alle basette XXL di Janis Lusis e il poco titolato Hans Jurgen Ruckborn ingaggiò battaglia con un giovanotto che veniva da un angolo di Caucaso chiamato Abkhazia e che tutti avrebbero imparato a conoscere: Viktor Saneyev. Igor Ter Ovanesian, 8,14 ventoso, e Romuald Klim, 70,58, sembrarono spianare definitivamente la strada, Che si rivelò terribilmente accidentata per il ritorno veemente della Germana Federale, guidata da Bodo Tummler, da Franz Josef Kemper e da Josep Schwarz. La 4x400 divenne una lotta selvaggia: dietro la Polonia del capitano coraggioso Andrzej Badensky, i tedeschi federali e i tedeschi socialisti. Russi dietro, in uno scenario degno di Hithcock.

A quel tempo la grafica televisiva non era ancora entrata nemmeno nella puerizia e l’appassionato da casa se la cavava con carta e penna aspettando la conferma sul video, che regalava caratteri che sembravano quelli delle tavolette del codice di Hammurabi: Urss 81, Ddr 80, Frg 80 fu il verdetto, in fondo alla sfida infernale. La Germani Est avrebbe risposto con gli interessi tre anni dopo, a Stoccolma.

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