Mondiali, tante storie tra gli ostacoli
28 Agosto 2015I titoli iridati 2015 vanno al russo Shubenkov (110hs) e alla giamaicana Williams (100hs). L'olimpionico e primatista mondiale Aries Merritt, bronzo a Pechino, tra pochi giorni si sottoporrà ad un trapianto di rene.
di Giorgio Cimbrico
Gli Stati Uniti erano andati a Pechino con una numerosa banda di ostacolisti e ostacoliste (otto al via) e con ambizioni senza confini, specie le donne, candidate a occupare i primi quattro posti. Risultato finale: il bronzo di Aries Merritt, con la sua storia di resistenza alla malattia, con la voglia di non mollare, con il desiderio di nuove albe. Ripercorrendo il cammino di Jonah lomu, il gigante All Black, martedì a Phoenix, Arizona, riceverà il dono di un rene. L’ala neozelandese lo ebbe da un dj amico, Aries dalla sorella. “Quando mi hanno diagnosticato la malattia – racconta il trentenne di Chicago – mi è caduto il mondo addosso ma mi sono anche detto: cosa vuoi fare, star seduto a guardare il muro? Scuotiti, vai avanti”. E’ andato avanti, guardando indietro, ai suoi giorni meravigliosi, lontani tre anni: oro olimpico a Londra e di lì a poco a Bruxelles record mondiale riportato negli Usa, a quasi un quarto di secolo dal 12”92 zurighese di Roger Kingdom.
Aries non è mai stato una montagna di muscoli come David Oliver, ma la malattia lo ha asciugato, lo ha reso quasi essenziale nei tratti muscolari, nel viso, dove fiammeggiano occhi che non danno segni di resa. Se è vero che la psiche può incidere sui nostri malanni, anche i più gravi, la medaglia pechinese può rappresentare un magnifico ritrovato della medicina cinese tradizionale che, come è noto, può curare tutti i mali. Le barriere hanno dimostrato di trasformarsi in ostacoli difficilmente sormontabili dalle grandi coalizioni. Nella finale maschile i francesi hanno spedito quelli che erano stati fatalmente e facilmente ribattezzati i tre moschettieri, ma Pascal Martinot Lagarde (o PML, come spesso figura nei titoli), Dimitri Bascou e Garfield Darien hanno raccolto le spoglie ai piedi del podio (i primi due) e l’ultimo posto (il terzo) nella giornata in cui sono stati ghiacciati dal siberiano Shubenkov, che a 25 anni è già un’enciclopedia. Di fronte a lui, gli altri sono fascicoli settimanali. Viene da Barnaul, Siberia sudoccidentale dove d’estate fa molto caldo e d’inverno molto freddo: record della località, +38° e -47°, e a proposito di record, Sergei, oltre a firmare il limite nazionale a dar un po’ di respiro a una Russia asmatica, diventa anche il quarto europeo, il primo di pelle chiara, a scendere sotto i 13”: l’avevano preceduto il gallese Colin Jackson e i francesi PML e Ladji Doucouré. E’ figlio di Natalya Shubenkova, eptathleta da 6859 punti: buon sangue non mente.
La Caporetto degli americani (Ronny Ashe fuori in batteria per una dubbia falsa partenza, Aleec Harris fuori in semifinale, Oliver vicino al concetto di impresentabile in finale) è andata fianco a fianco con la Waterloo delle americane che hanno perso la loro carta più sicura con l’incespicare della simpatica Dawn Harper-Nelson e hanno smarrito per un avvio anticipato Kendra Harrison. A quel punto era sfumata la chance del poker ma teneva ancora forte quella dell’accoppiata da podio. La raffinata Brianna Rollins, dal viso etiope, e campionessa uscente, ha mancato lo scalino più basso di un centesimo e Sherika Nelvis, dominatrice della stagione (dieci tempi tra 12”34 e 12”65) ha litigato con le barriere organizzando la sua peggior gara di stagione: ottava in 13”06.
E così, superato anche l’ultimo ostacolo, oltre alla Russia e al giovanissimo commissario tecnico Yuri Borzakovski (reo di invasione di pista per abbracciare Shubenkov), può festeggiare la Giamaica, seconda con Hansle Parchment e al bersaglio grosso con Danielle Williams, prossima ai 23 anni e capace di dare il meglio (12”58 in semi, 12”57 in finale) nell’occasione più importante. Per non parlare della gioia senza confini della tedesca Cindy Roleder, che rivedrà la sua intenzione di passare all’eptathlon, e della graziosa bielorussa Alina Talay, che abbandona il ruolo di atleta che sa dare il meglio solo nell’atletica d’inverno.
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