Marcia azzurra in Coppa del Mondo
09 Gennaio 2016Ripercorriamo, passo dopo passo, gli atleti italiani protagonisti nella storia del trofeo iridato. Appuntamento per la prossima edizione - con la denominazione di Campionato Mondiale a squadre - a Roma il 7 e 8 maggio.
di Giorgio Cimbrico
La tribù della marcia lo chiamava – e qualche veterano lo chiama ancora - Trofeo Lugano perché là, su quel lago, in quella città che ha ospitato famosi anarchici e innovativi scrittori (siano sufficienti i nomi di Bakunin e Hesse), tutto ha avuto inizio. Era il 1961 e Abdon Pamich, che aveva ancora dentro e addosso la rabbia e l’amarezza per il bronzo olimpico di Roma, andò a conquistare la vittoria nella 50 km piegando il piccolo inglese Don Thompson che un anno prima, indossando un berretto da legionario alla Beau Geste preparato da un’apprensiva mamma, aveva lasciato il fiumano di Genova a due minuti in una torrida giornata che aveva imperversato sulla capitale.
Per chi ama le ricostruzioni storiche, il successo ticinese di Abdon può essere considerato il primo mattone nell’edificazione dell vittoria olimpia che sarebbe venuta a Tokyo, a spese di un altro britannico capo coperto, Paul Nihill, e superando problemi intestinali ormai transitati nella storia. Pamich sarebbe salito sul podio, terzo, anche nella seconda delle tre edizioni ospitate in Italia, a Pescara nel 1965, dietro la coppia Ddr Hohne-Leuschke.
L’Italia finì in vetta nella classifica maschile nell’81 a Valencia (terzi nelle due distanze Alessandro Pezzatini e Sandro Bellucci, il laziale che oggi ha capelli bianchi come la neve) e dieci anni dopo a San José, California.
Tra le donne il colpo grosso venne nella messicana Monterrey nel ’93: di quel gruppo, forse il più forte espresso dalla marcia rosa, faceva parte la povera Annarita Sidoti che, settima, non mancò di dare il suo contributo.
Più di mezzo secolo dell’antico Trofeo diventato Coppa del Mondo e, secondo l’attuale denominazione, Campionato Mondiale a squadre, può offrire pagine e fotogrammi che il tempo non ha né ingiallito né opacizzato nel lungo viaggio che ha portato i camminatori nei luoghi più disparati del pianeta. Nell’85 toccò alla ventosa isola di Man, culla dello spietato Tourist Trophy, e Maurizio Damilano, nella distanza più amata, si arrese soltanto allo spagnolo Josè Marin.
Il bersaglio grosso venne centrato nel 2002, nella spettacolare edizione organizzata nel centro di Torino, da Erica Alfridi che celebrò la sua carriera di piazzata di extralusso piegando nientemeno che la frenetica Olimpiada Ivanova, una delle più formidabili collezioniste della specialità. In anni più vicini, sono arrivati il secondo posto di Alex Schwazer nel 2008 a Cheboksary, alle spalle del russo Nizhegorodov, annuncio dell’oro olimpico che l’altoatesino avrebbe conquistato nell’agorà pechinese prospiciente al Nido d’Uccello, e la vittoria, tra le juniores, di chi crescendo non ha fatto altro che confermarsi: nel 2010, in una caldissima Chihuahua, Antonella Palmisano ebbe la meglio, in fondo a un drammatico finale, sulla cinese He Qin e sulla russa Anna Lukyanova.
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