Olimpiadi: la sorpresa Thiam

14 Agosto 2016

A Rio 2016 la nuova regina dell'eptathlon è la non ancora 22enne belga, dopo un appassionante duello con la campionessa uscente Ennis-Hill

di Giorgio Cimbrico

“Nelle prime otto speravo di finire, ma la medaglia d’oro… Pazzesco”. Nafissatou Thiam, detta Nafi, 22 anni tra cinque giorni, un po’ vallone, un po’ senegalese, guarda con stupore quel che ha combinato: ha vinto le Olimpiadi come una sua connazionale, Tia Hellebaut, otto anni fa a Pechino. Nel salto in alto Tia, l’occhialuta di Anversa (assai attiva e brillante anche nell’eptathlon), bruciò Blanka Vlasic; nell’eptathlon Nafi (stesso giudizio per quanto la neo-olimpionica sa fare nel salto in alto) ha piegato una delle più grandi “multiple” della storia, Jessica Ennis-Hill, campionessa uscente, la donnina che ha fatto della coordinazione una linea di condotta vicina a un’arte. Alla fine, 35 punti le hanno divise e per Jessica, così come per Greg Rutherford, il Super Saturday di quattro anni fa svanisce. Solo Mo Farah ha rispettato quella britannica e dorata tabella di marcia scandita il 4 agosto di quattro anni fa quando a Stratford arrivarono tre vittorie in 46’. Ora, un oro, un argento e un bronzo. Non male, comunque.

Thiam è nata 22 anni fa nella città fortificata di Namur, gareggia per il Reale Club atletico di Liegi e nell’università della città che ha dato la luce a Georges Simenon studia geografia, è allenata da Roger Lespagnard, eccellente decatleta anni Ottanta. Non ha il dono brillante della velocità (per lei i 200 sono lo scoglio più duro: nei suoi giorni dei giorni, un modesto 25”10), ma in un paio di situazioni importanti se la sa cavare benissimo o bene. Salto in alto, 1,98 (e tre tentativi di sfida a 2,01); giavellotto a 53,13 per quella che risulterà la svolta decisiva. Prima e dopo, 13”56 sui 100hs, 14,91 nel peso (non male con quelle braccine sottili) e 6,58 nel lungo. Il totale, 6810, l’ha spedita al 16° posto nella lista di tutti i tempi.

Il meglio, soprattutto a livello di carattere, l’ha dato quando Jessica ha tentato di metterla alle corde all’ultimo round: 142 punti da recuperare , uguale a qualcosa meno di 10”, giusto la differenza che corre tra i loro limiti personali sui due giri di pista. Jessica ha il fisico giusto, Nafi quello di un fenicottero o di un’indossatrice. Ma non si perde d’animo, non va in affanno quando, dopo poche battute, è già a 3” dalla mamma britannica. Alla fine, come in una breve cronometro, rimedia poco più di 7” e il vantaggio piomba a quota 35. Ma in quel momento l’eptathlon è finito, Jessica dice che dovrà affrontare una grande decisione sul suo futuro e a Nafi non rimane che ascoltare la Brabançonne.

Piccola e rozza lezione di genetica e di antropologia: con la complessità legata alle continue metamorfosi di attitudini alle quali gli atleti e le atlete sono chiamati i due giorni passati sul campo, chi ha vissuto il confluire nelle proprie vene di un cocktail di sangue, ha saputo offrire momenti indimenticabili. E’ una storia lunga che parte da lontano, con Jim Thorpe (padre in parte irlandese, in parte pellerossa Sac e Fox, madre francese e indiana Potawatomie), che prosegue con Daley Thompson, mamma scozzese e papà nigeriano, con Dan O’Brien, afroamericano e finlandese, con Brian Clay, afroamericano e giapponese cresciuto alle Hawaii, con Ashton Eaton, afroamericano con mamma inglese, con Jessica Ennis-Hill, mamma inglese e papà giamaicano, con Katarina Johnson-Thompson, nata dal matrimonio tra un bahamense e una britannica. Come annunciava una magnifica maglietta venduta al mercatino di Stoccarda, nel ’93, il decathlon e l’eptathlon non sono una questione di pelle. Solo di talento, sacrificio, volontà. Oggi è il magic moment di Nafi Thiam e per chi crede ancora all’armonia universale è un buon giorno.

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OLIMPIADI RIO 2016: LA GUIDA ALLE GARE

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